"Entriamo negli spogliatoi, io e i miei colleghi. Mi siedo sulla panca, fuori tuona. Il empo di commentare quella strana giornata d'agosto e la palazzina intera vibra. E stavolta non è un tuono. È Un boato, uno schianto d'aria. Vado alla finestra, per istinto. Vedo crollare il manto stradale del ponte, sgrano di più gli occhi e lo vedo precipitare. Non ci credo. La mente va a un flashback: era solo qualche giorno prima, proprio qui, alla Fabbrica del Riciclo. Cadevano calcinacci sempre più grossi, sempre più inspiegabili. E come sempre, come tante altre volte, ho detto, abbiamo detto: Figuriamoci se...
AMIUE ora siamo qui in questo spogliatoio, costernati. Usciamo. Fuori, un macello di tutte le tonalità del grigio. I colori sono solo pezzi d’auto, verdi di segnaletica, frammenti, oggetti. E davanti alla porta, la Fabbrica del Riciclo sepolta. Tutti avevamo il volto deformato dalla paura".
Emanuele è un sopravvissuto al crollo del Ponte Morandi. Insieme ai suoi colleghi, era nella palazzina Amiu, gialla, contigua alla Fabbrica del Riciclo ma non colpita dal pilone crollato. Emanuele e i colleghi aiutarono i primi soccorsi con tutto quello che la palazzina disponeva: cappottine impermeabili, attrezzature antinfortunistiche, medicinali di primo soccorso, carrelli.  Fu così che quella palazzina, due piani, venne adibita a infermeria, al piano terra.
Ma, al piano di sopra, dissero a Emanuele e ai suoi colleghi, di addossare gli armadietti al muro. Il secondo piano divenne il luogo dove venivano ospitati i corpi senza vita di chi non ce l’aveva fatta.
“Sara, vuoi sapere come mi sento ora? Ti dirò la mia verità. Avremmo dovuto riflettere di più, dopo questo crollo. Invece, invece abbiamo avuto fretta di tornare ad essere utilizzatori, produttori, consumatori. Normalizzatori di una realtà che ci era esplosa tra le dita.  Avremmo dovuto lottare per creare quelle condizioni che non ci riportassero mai più al 14 agosto 2018, 11:36. Dovevamo rinegoziare un patto con la città, con il suo territorio che in questi luoghi già soffriva e ora è ancora più gravato. Un patto per il lavoro, con la mia stessa azienda, Amiu, che ha pagato un costo altissimo e deve rimanere unita, con i suoi lavoratori. Tutto questo non ha senso. Ma se non ci insegna nulla, allora è solo una voragine. Dove siamo precipitati tutti".
Con Emanuele andiamo davanti all’entrata Amiu di via Campi. Scattiamo qui la foto che vedete. Poi torna nel ricordo.
"Alle tre del pomeriggio, andai via. Camminai a piedi fino a casa, in bocca un caffè alla grappa, non avevo fame, a stento bevevo. Camminavo e la  vista mi apriva una Genova con una lancia piantata nel collo. Sentii quanto la amavo, quella Genova fragile e spezzata. Fu una notte senza sonno.  Al mattino un raggio di sole riempi’ il solco delle borse sotto gli occhi. Mi apparve tutto beffardo. Anche quel raggio di sole, in fondo, voleva fare altro: voleva asciugare il pianto a cui mi lasciai andare. Pensai ai miei colleghi finiti a pochi metri da me, sotto il gigante crollato. Masticai tra le lacrime una parola: “ Perché?” La testa tra le mani. Non ero più lo stesso uomo di prima. Non lo sarei stato mai più”.
Ci salutiamo. Grazie Emanuele, per avermi aperto il tuo ricordo. Ho visto i tuoi gesti e i tuoi occhi- ho capito quanto sia stato difficile. Ci separiamo. Qualcosa però, ci unisce. Una parola: “Perché?”

Testimonianza di Emanuele raccolta da Sara Tagliente, giornalista televisiva. Il testo originale è stato reso pubblico su facebook il 14 maggio 2019 alle ore 20:00. Emanuele ha chiesto di non pubblicare il cognome.
Amiu è l'acronimo di: Azienda municipale igiene urbana
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