“Fu una telefonata. <<Papà, mi è caduto il Ponte del Polcevera davanti. Corri qui. È una catastrofe>>.
Sono Marco, sono un pompiere. A quelle parole di mio figlio, Emilio, anche lui vigile del fuoco, scattai. Andai in aeroporto e formai una squadra di cinque uomini compreso me: mi mancavano alla pensione solo 18 giorni. Molto probabilmente sarebbe stata l’ultima missione. E non avrei mai immaginato

vigilidelfuocofosse quella.

Alle 13:00 ero li sotto, sotto l’ex viadotto Morandi. Al Comando del Cratere, la stazione provvisoria dei pompieri nei luoghi del disastro, presi ordini e mi assegnarono a un punto ben preciso. Ero assegnato al greto del Polcevera, sotto il pilone riverso. Mi guardai attorno. Non era la prima volta che vedevo una tragedia. Ma lì c’era qualcosa di inedito. Le architetture stralunate, il capovolgimento delle geometrie naturali, un enorme viadotto piantato in un fiume.

Mi colpì un’Audi bianca. Cofano e tetto schiacciati, una piastra piatta, nessuna forma di auto. Dentro, quella maglietta colorata. I volti di chi finisce nelle tragedie hanno un codice dell’orrore, quasi comune a tutti: lo sguardo interrotto. Alla stampa che mi intervistò dopo, dissi che in quella maglietta colorata, io avevo letto dello stupore. Mi chiesi perché avevo detto quella cosa ai giornalisti. Ora ho la risposta: era una proiezione, il viso dello stupore era in realtà il mio, il mio sgomento senza spiegazioni. O forse, io e quella maglietta colorata eravamo semplicemente uniti, vivi e morti, in quel: “perché ?”: la domanda. Quella domanda.

Mi chiamo Marco Vedelago, sono un uomo e ho fatto per una vita il Vigile del Fuoco. Lavorai molte ore quel giorno. Non trovai persone vive. Tornai a casa e lasciai che il getto d’acqua della doccia mi lavasse i segni, gli odori, le macchie dell’operazione più difficile della mia vita: il crollo del Ponte Morandi. Pietrificato in una cabina di acqua tiepida, lasciai che sul mio volto scorresse non solo il getto della doccia. Piansi”.

 

400 Vigili del Fuoco lavorarono per turni e senza sosta nei giorni successivi al 14 Agosto 2018. Con abnegazione e senso del dovere. Salvarono diverse vite umane. Inseriamo questa testimonianza anche se non appartiene propriamente a “sopravvissuti” perchè i soccorritori sono considerati, nella psicologia dell’emergenza, “vittime di terzo livello”, dopo chi ha perso la vita (primo livello) e i loro familiari.

 

Testimonianza di Marco Vedelago raccolta da Sara Tagliente, giornalista televisiva. Il testo originale è stato reso pubblico su Facebook il 14 aprile 2019.

 

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